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Tra banche e Stato un rapporto pragmatico

di Franco Locatelli

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22 ottobre 2008


Gli assetti proprietari delle banche italiane stanno diventando un'eccezione in Europa e in Occidente e il fatto che finora l'intervento dello Stato nel capitale dei nostri istituti di credito non sia stato necessario, pur essendo possibile, è motivo di conforto. La ragione l'ha spiegata ancora una volta, nella sua audizione di ieri al Senato, il Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, mettendo in evidenza tre punti decisivi: 1) il nostro modello bancario «è fondamentalmente sano» anche perché più tradizionale; 2) le nostre banche hanno retto l'urto della crisi «meglio» di quelle di altri Paesi; 3) la capitalizzazione delle nostre maggiori banche «rimane sufficiente» e, quando è necessario, azionisti e investitori «sono pronti a investirvi ingenti quantità di capitali freschi».
L'adeguatezza patrimoniale delle banche, specie in relazione all'inasprirsi della recessione e al rafforzamento dei maggiori gruppi bancari europei e americani, non è ovviamente un problema risolto una volta per tutte. E non si può escludere, come ha sostenuto ieri a Napoli il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che «forse due o tre banche, oltre a UniCredit, avranno dei vantaggi ad aumentare il proprio capitale, trovando naturalmente i mezzi sul mercato». Ma c'è da sperare che, in caso d'emergenza, si avverino proprio le ultime parole del premier e cioè che le banche italiane sappiano rafforzarsi raccogliendo, come ha fatto UniCredit, capitali privati.
La crisi finanziaria ha liberato il campo da vecchi tabù rivalutando l'intervento pubblico in economia ma un ipotetico ingresso dello Stato nel capitale delle banche si sa come comincia e non si sa mai come e quando finisce. L'esperienza italiana cominciata negli anni 30 con il salvataggio delle banche attraverso l'Iri doveva essere temporanea e durò solo (!) sessant'anni. Una delle lezioni che arriva dalla crisi in corso avverte però che l'arma più adatta per governare l'emergenza è il pragmatismo piuttosto che il ricorso ai vecchi paradigmi ideologici. In tempi eccezionali come questi, più ancora che la natura del capitale delle banche ciò che realmente conta è la loro solidità e la loro competitività e, in definitiva, la loro capacità di servire al meglio famiglie e imprese, consumatori e risparmiatori.
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Ieri un report di Jp Morgan sosteneva che le banche italiane avrebbero ancora bisogno di una ricapitalizzazione di 18 miliardi di euro per raggiungere mediamente un coefficiente patrimoniale (core Tier 1) dell'8 per cento. Si tratta di stime che naturalmente e soprattutto di questi tempi vanno prese con le pinze, ma quello che è importa è che, di fronte all'opportunità di rafforzare il patrimonio delle banche per metterle in condizione di affrontare in modo adeguato le spine della crisi, la valutazione sulla necessità o meno dell'intervento dello Stato nel loro capitale sia esclusivamente tecnica.
Sarebbe grave se il ritorno del Tesoro nel mondo del credito fosse invece l'occasione per allontanare manager sgraditi e per lasciare campo libero alla politica, ma sarebbe altrettanto insostenibile che i gruppi dirigenti delle banche mantenessero i loro istituti in condizioni di fragilità patrimoniale solo per difendere lo status quo e, prima di tutto, se stessi o le norme (come il voto capitario delle Popolari quotate) che li proteggono.
Ecco perchè, in materie così delicate, va cancellata dalle norme ogni sia pur lontana ombra di discrezionalità politica e va invece esaltato il ruolo di garanzia e di indipendenza tecnica della Banca d'Italia. Sotto questo profilo è importante la rassicurazione che Draghi ha fornito ieri sullo stato di salute delle nostre banche ma è altrettanto rilevante l'insistenza con la quale il Governatore ha escluso che, sotto la sua guida, l'istituto di Via Nazionale possa inciampare nella «cattura del regolatore» da parte dei regolati che molti osservatori rimproverano al sistema di viginanza americano. «Grazie a leggi rigorose e a una ferma azione di vigilanza, da noi - ha ricordato Draghi - non vi è quell'esteso "sistema bancario ombra" in cui altrove la crisi ha trovato origine e alimento». E in effetti, se da noi le banche hanno fatto meno errori e condiviso meno distorsioni che altrove, è anche perchè «la Banca d'Italia ha interpretato in modo fermo il proprio mandato». Via Nazionale, salvo tristi parentesi del passato, è sempre stata un faro ed è bene che continui ad esserlo.

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